Antonio Canova, massimo esponente della scultura neoclassica, si affermò per l’incredibile maestria con cui rese la morbidezza delle forme nel freddo marmo.
Le sue opere, pervase da una sensualità discreta e da un’eleganza ideale, conquistarono ammirazione e fama in tutta Europa.
Tuttavia, non mancarono critiche da parte di alcuni contemporanei che mettevano in dubbio la sua capacità di affrontare soggetti eroici, drammatici e virili.
Fu proprio questa critica a spingere Canova verso una nuova sfida: dimostrare di saper scolpire anche la forza, la tensione muscolare, il dramma dell’azione.
Nacque così il progetto dell’Ercole furioso che scaglia Lica in mare, un’opera monumentale e possente, in cui l’artista si confrontò con la dimensione epica e tragica dell’antichità.
Questo nuovo percorso rientrò in un progetto più ampio: rinnovare la scultura attraverso una riscoperta dell’antico che non fosse semplice copia, ma imitazione, rinascita consapevole.
L’idea di un Ercole in preda alla furia nacque già nel 1790, ma solo nel 1795 cominciò a prendere forma concreta grazie all’intermediazione di Antonio d’Este.
Il modello in creta, in scala reale, fu pronto già nel 1796 e anche il modello in gesso venne realizzato nello stesso anno.
Nonostante le prime fasi esecutive di preparazione dell'opera monumentale si fossero svolte in così breve tempo l'opera marmorea venne conclusa soltanto nel 1813 a causa di alcune vicende che ne hanno segnato la realizzazione.
L’Ercole che scaglia Lica non era solo una scultura, ma un manifesto: un’opera con cui dimostrare, una volta per tutte, che la sua arte sapeva anche affrontare il terribile, l’impetuoso e l’eroico.
Chi ha scolpito un'opera di oltre 4 metri perché non ha accettato le accuse di "saper realizzare solo opere di carattere gentile"?